Israele: Levy se ne va, Barak sempre più solo

«Non posso rimanere in un governo che è pronto a dividere Gerusalemme», ha affermato Levy. «Mi dispiace - ha commentato sobriamente Barak - ma andrò avanti nella ricerca della pace e al più presto conto di allargare la coalizione di governo».

Rimasto così con otto dei 22 ministri con i quali un anno fa aveva formato con grandi speranze il suo governo di centrosinistra, Barak ha ricevuto un altro colpo un'ora dopo le dimissioni di Levy, quando l'opposizione ha votato sì alle mozioni della destra per elezioni anticipate.

Quello di oggi è stato un voto preliminare. Prima di decidere nuove elezioni i deputati della Knesset dovranno esprimersi ancora due volte. Amici e avversari di Barak hanno comunque visto nel voto sulle elezioni una conferma del ribaltamento della maggioranza, se mai ci fossero stati ancora dubbi dopo la clamorosa vittoria del candidato della destra Moshe Katzav contro il laburista Shimon Peres nelle elezioni presidenziali di lunedì.

Levy - che manovra da anni con tempismo e successo fra destra e sinistra per restare al governo col suo partitino 'Ghesher' - insiste da settimane per un governo di grande coalizione destrasinistra. Ma Barak non ha dato l'impressione di crederci davvero e il leader della destra, il 'superfalco' Ariel Sharon, chiede a gran voce nuove elezioni. Oggi tuttavia Barak ha avuto anche qualche motivo di sollievo: dopo essersi pronunciata a favore di elezioni anticipate, la Knesset è andata in vacanza e riprenderà i lavori a fine ottobre.

Salvo catastrofi improvvise (il parlamento può essere convocato in qualsiasi momento per motivi di emergenza) Ehud Barak avrà così tre mesi di respiro per rimettere in piedi una coalizione di governo e continuare le trattative di pace con il presidente palestinese Yasser Arafat.

Barak ha fatto capire di non credere molto a un governo di grande coalizione, che lo vedrebbe in qualche modo ostaggio della destra e segnerebbe di fatto l'affossamento del processo di pace con i palestinesi. Sharon, il suo partito 'Likud' e l'insieme della destra rifiutano infatti qualsiasi concessione di rilievo sui punti chiave del negoziato, come la questioni di Gerusalemme e i diritti dei profughi palestinesi.

Partendo per Camp David tre settimane fa, Barak aveva detto che non temeva elezioni anticipate: sperava infatti di poterle affrontare presentando agli israeliani, stanchi di 50 anni di guerre e tensioni, un accordo di pace che sarebbe stato approvato con sollievo dagli elettori. In questo modo infatti le elezioni si sarebbero di fatto trasformate in un referendum pro o contro la pace, e Barak era sicuro di vincerlo.

Dal vertice negli Stati Uniti invece il premier israeliano è ritornato a mani vuote e con una maggioranza a pezzi. Esposto quindi più che mai agli attacchi della destra: almeno fino a quando non potrà replicare mostrando un accordo di pace firmato dal presidente palestinese Yasser Arafat, dopo un'estate in cui avrà cercato di sopravvivere con il suo governo.

(sda)