USA-Cina: crisi aereo Washington non vuole scusarsi e Pechino non mostra fretta

Dopo il terzo incontro di ieri, diplomatici americani hanno chiesto alla Cina di concedere libero accesso ai 24 membri dell'equipaggio, trattenuti sull'isola tropicale di Hainan, dove il ricognitore Ep-3 è atterrato domenica scorsa in seguito a una collisione nei cieli sul Mar cinese meridionale con un caccia cinese. Non si conosce per ora la risposta del governo cinese.

L'ambasciatore Joseph Prueher ha incontrato a Pechino funzionari del Ministero degli esteri solo nel tardo pomeriggio, dopo ore di attesa. Apparentemente l'ostacolo principale da superare è trovare le parole giuste che possano soddisfare la richiesta di scuse espressa con insistenza da Pechino, ma respinta da Washington.

Anche oggi, il vicepresidente americano Dick Cheney, intervistato dalla «NBC», ha espresso la speranza che la vicenda si concluda presto e ha ribadito che gli Stati Uniti non intendono fare le scuse formali alla Cina: «Il presidente ha detto chiaramente che ci dispiace per la perdita del pilota cinese in seguito a questo incidente. Ma L'idea di scusarci per aver volato in uno spazio aereo internazionale è qualcosa che non possiamo accettare».

A Cheney è stato chiesto se gli USA hanno qualcosa di cui scusarsi. «No, ritengo di no», ha risposto, aggiungendo: «Ogni giorno che passa senza aver risolto questa vicenda aumenta i rischi per i nostri rapporti a lungo termine con la Cina».

Comunque secondo l'esperto di rapporti sino-americani Zhang Yebai «Alla fine si troverà una soluzione soddisfacente, però ci vuole tempo». In un'intervista al giornale «Zhongguo Jingji Shiba» (Giornale delle Finanze), vicino al governo, Zhang dice che la crisi dell'aereo spia non provocherà una nuova guerra fredda per il semplice motivo che Cina e Stati Uniti sono in uno stato di semi guerra fredda dal 1989 (dopo la violenta repressione di Tiananmen delle dimostrazioni per la democrazia).

Ma la Cina non può cedere all'»arroganza» americana sulla questione della sovranità e della dignità nazionale, aggiunge il ricercatore dell'Accademia delle Scienze Sociali, né l'equipaggio può essere rilasciato senza le scuse: «La gente non lo accetterebbe». D'altronde, dice Zhang, sono gli USA ad avere fretta, non la Cina. Zhang esclude un'azione di forza da parte americana, perché fallirebbe come la missione dell'allora presidente Jimmy Carter con gli ostaggi in Iran.

(kil/sda)