Giornalisti: 36 uccisi in un anno RSF denuncia repressione

Altri 329 sono stati arrestati, 500 aggrediti o minacciati. Circa un terzo della popolazione mondiale vive in paesi dove non c'è libertà di espressione.

A fotografare tutto ciò è il rapporto annuale di Reporters sans frontieres (Rsf), pubblicato in occasione della undicesima Giornata mondiale della libertà d'Informazione. La pubblicazione (455 pagine) è stata realizzata in Francia con il sostegno di Prisma Press Group.

Per la maggior parte delle persone i nomi dei giornalisti uccisi, rileva il rapporto, sono sconosciuti «ma dietro ognuno di loro si nasconde una storia con un unico denominatore comune, l'informazione».

Salvador Medina, giornalista di radio Nemety (Paraguay), è stato ucciso il 5 gennaio 2001 mentre viaggiava in motocicletta con uno dei fratelli. Aveva ricevuto minacce di morte per le sue inchieste su episodi di estorsione e corruzione di bande locali. Rolando Ureta, presentatore della radio privata Dyp, è stato ucciso il 3 gennaio a Kalibo (Filippine) in un agguato. In alcune trasmissioni aveva attaccato le attività di dirigenti locali e narcotrafficanti.

Hudaya Sultan Salem, caporedattrice del settimanale politico 'Al Majalaes', è stata uccisa il 20 marzo 2001, mentre il suo autista la stava accompagnando a lavoro. Hudaya, 65 anni, è stata la prima donna giornalista del Kuwait quando ha iniziato la sua carriera nel 1961.

Storie che dimostrano, rileva il rapporto, che all'alba del ventunesimo secolo «quasi tutti i paesi del mondo, compresi i più totalitari, affermano di riconoscere il diritto dei propri cittadini alla libertà di espressione e di informazione, ma molti di essi danno apertamente a queste libertà un ruolo che le rende prive di significato e che espone a gravi pericoli chi cerca di metterle in pratica».

Reporters sans frontieres denuncia come spesso per tenere imprigionata la libertà di informazione alcuni governi facciano un cattivo uso delle leggi sulla diffamazione e la dignità dell'individuo. Per esempio la Macedonia ha inventato il delitto «di mancanza di professionalita» da parte dei giornalisti, che possono così essere facilmente condannati a pagare ingenti ammende.

Diciassette paesi dell'America Latina hanno leggi che proteggono l'onore degli impiegati dello stato. Il rapporto traccia anche un identikit dei «predatori della libertà di informazione»: sono presidenti, ministri, ufficiali militari, guide della rivoluzione o capi di fazioni armate, «che hanno il potere di imprigionare, rapire, torturare e nei peggiori dei casi uccidere i giornalisti».

(kil/sda)