Morto Michele Alboreto, la scommessa italiana di Ferrari

publiziert: Mittwoch, 25. Apr 2001 / 23:19 Uhr

Roma - Aveva lo sguardo buono. Non c'era la cattiveria stereotipo del pilota di Formula 1. Era un uomo gentile, col sorriso dolce e con un enorme amore per le macchine. È stato l'ultimo che è riuscito a realizzare il sogno del pilota italiano sulla macchina rossa.

Enzo Ferrari non li voleva, gli italiani, sulle sue macchine. Michele Alboreto invece arrivò a Maranello nel 1984 e ci restò fino al 1988 della morte del «Drake».
Alboreto è morto in prova, come altri grandi, come Jochen Rindt, come De Angelis.
Aveva smesso con le F1 nel '94, una stagione con la Minardi, per pura passione, e magari anche per riconoscenza, perché era stato grazie alla Minardi di Formula 2 che nel 1981 si potè lanciare nel circus della Formula 1.
Ma la passione per l'auto era la molla della sua vita. Nato a Milano il 23 dicembre 1956, nel 1979 aveva cominciato a correre nel campionato italiano di Formula 3. Lo supportava Paolo Pavanello. Il primo grande successo nel 1980, campione europeo di Formula 3, che allora era la fabbrica dei grandi piloti.

Grazie all'aiuto del conte Zanon, riuscì a conquistare nel 1981 un posto alla Tyrrell. In F1 esordì a Imola con la «010» del geniale Ken. Si qualificò 13º e in gara fece 23 giri, prima di ritirarsi per una collisione con Gabbiani.
Con Tyrrell restò anche nell'82 e nell'83: erano gli anni di Lauda, Prost, Patrese. Proprio nell'82 spariva Jilles Villeneuve. Una Formula 1 da eroi, lontana anni luce dall'elettronica.
Il 25 settembre 1982 arrivò alla prima vittoria, a Las Vegas, davanti a Watson e Cheever. Nell'83 la seconda, ancora negli Stati Uniti, a Detroit.

E poi la scommessa «rossa», erano anni che un italiano non metteva le mani su un volante di Maranello. Nel 1984, in Brasile Alboreto esordì con la rossa n.27 a Rio: prima fila in qualifica, ma solo 14 giri in gara per la rottura di un freno. Ma con la 126 C4 fece sognare gli italiani, vincendo a Zolder il 29 aprile 1984. Un sogno che si disintegrò con i ritiri di Imola e Digione. I motori turbo non tenevano e, a parte un sesto posto a Monaco, la piaga delle rotture continuò fin oltre metà stagione. Solo nel finale ritrovò il podio: secondo a Monza, secondo al Nurburgring.

Tanto da rinfocolare le speranze di poter sfidare Alain Prost con la McLaren nel 1985: due secondi posti in Brasile e Portogallo, il «solito» ritiro di Imola, ancora secondo a Monaco, primo in Canada, terzo negli Stati Uniti e di nuovo un ritiro con la turbina in fumo in Francia; ma ecco ancora il secondo posto a Silverstone, la vittoria del Nurburgring, la terza piazza in Olanda.

Il motore rotto a Monza però, segnò l'inizio della parabola discendente. Mondiale svanito e altri tre anni a Maranello, mai più con quelle speranze.
Nel 1987 l'arrivo di Berger spinse Alboreto da parte nel box di Maranello. Nel 1989 chiuse l'avventura tornando da dove era partito, ovvero alla Tyrrell, e poi, da metà stagione, alla Lola- Lamborghini.
E dal '90 la Arrows e poi la Footwork. Un tocco di Ferrari di nuovo nel '93, grazie al 12 cilindri di Maranello montato sulla scadente Lola della scuderia Italia. Quindi l'ultimo anno di Formula 1 nel 1994.
In totale, cinque vittorie, nove secondi posti, nove terzi, 194 Gran Premi, 186,5 punti mondiali, 218 giri in testa, 927 chilometri al comando di una gara.

La motivazione delle ultime stagioni in Formula 1 era, per Michele, la passione. Ma il talento era quello vero, altrimenti non si arriva sesti a Monaco con una Minardi.
La tragedia di Ayrton Senna gli fece guardare la Formula 1 in modo diverso. A convincerlo a lasciare, una multa rimediata nel GP di Germania, accusato di aver provocato un incidente al primo giro.
Ma non cambiò idea sull'automobilismo. Passato all'Alfa Romeo, continuò a girare nel campionato tedesco, nei campionati turismo, ovunque si potesse andare forte lui c'era.

(ba/sda)

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