Nobel pace: Kim Dae Jung, il Mandela asiatico

Nato il 3 dicembre 1925, in pieno dominio coloniale giapponese, in un'isoletta al largo della città portuale di Mokpo, Corea sudoccidentale, ha il suo primo incontro ravvicinato con la morte nel 1950, allo scoppio della guerra fratricida e sanguinosa con il Nord comunista. Uomo d'affari e editore di giornali già affermato nonostante la giovane età, viene imprigionato dai comunisti invasori di Kim Il Sung. Scampa alla già decisa condanna a morte, grazie allo sbarco delle truppe americane guidate dal generale Mc Arthur a Inchon, porto di Seul, che costringe i comunisti ad un affannoso ripiegamento.

Tutti gli altri anni di prigione, sette in tutto, gli arrivano in regalo dai dittatori militari sudcoreani Park Chung-hee (1961- 1979) e Chun Doo-hwan (1980-1988): responsabile la sua lotta inflessibile per la democrazia.

«Ho sempre creduto che l'unica via di salvezza per il nostro paese sia una piena democrazia nel Sud e un impegno costante per la pace con il Nord in vista della riunificazione della penisola»: sono queste le parole che pronuncia nel 1973 al processo intentato contro di lui dal presidente Park Chung-hee, un anno dopo la sua sconfitta di stretta misura nelle elezioni presidenziali del 1972 che lo lanciano comunque come leader indiscusso dell'opposizione. E sono le idee guida del suo programmma politico che arrivano a maturazione con la vittoria nelle presidenziali del 1997, all'età di 72 anni, dopo due sconfitte nel 1987 e nel 1992.

«La mia vita con Kim - ha confessato in suo libro la moglie Lee Hee-ho - è stata un continuo tormento, carcere, condanne a morte, sconfitte politiche a ripetizione, sostenuta sempre però dalla certezza di camminare insieme nella giusta direzione».

Ora a 75 anni, quest' uomo, di religione cattolica e dal passo claudicante per un attentato mascherato da incidente automobilistico negli anni '70, è vicino alla realizzazione dei suoi due sogni. Si sta già organizzando la visita di Kim Jong-Il a Seul, forse nella primavera prossima, per ripetere la storica stretta di mano che a giugno stupì il mondo. E che la riunificazione non più così lontana lo hanno dimostrato gli atleti nord e sudcoreani che alle olimpiadi di Sydney hanno sfilato sotto un'unica bandiera.

(sda)